OBELISCHI DI ROMA
Nessuna città al mondo può vantare il numero di obelischi che sono a Roma. Provengono tutti dall’Egitto e furono portati a Roma subito dopo la conquista di quel Paese come gloriosi cimeli, emblema del dominio dell’Urbe nel mondo. Furono posti come ornamento di circhi ed arene non perdendo la loro originale sacralità. Dopo la fine dell’Impero Romano, con le invasioni barbariche molti obelischi caddero in rovina, di altri si persero le tracce, sepolti nell’oblio. Con l’avvento del Rinascimento grandi Papi riproposero a Roma e ai Romani la bellezza degli obelischi che pian piano cominciavano a riaffiorare durante i lavori di costruzione e di restauro degli edifici e divennero oltre che ornamento, centro geometrico di grandi piazze e punto di orientamento per i pellegrini già da molto lontano dall’Urbe.
Plinio il Vecchio (morto nella famosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C.) nei 37 libri della sua Storia Naturale ci tramanda che in terra d’Egitto esistevano 12 obelischi, di cui ci fornisce sia l’altezza che il nome del re che ne curò l’estrazione o l’innalzamento. Ci dà notizia degli obelischi che erano stati trasferiti a Roma: l’0belisco di Augusto, cavato da Psammetico II sotto il cui regno Pitagora andò in Egitto, innalzato nel Circo Massimo (e poi spostato in Piazza del Popolo); l’altro, sempre di Augusto, cavato da Sesothis e innalzato in Campo Marzio come gnomone solare (e secoli dopo in Piazza Montecitorio); poi quello cavato da Nencoreo, portato a Roma da Caligola e innalzato nel Circo Vaticano. Gli altri evidentemente furono portati a Roma dopo il 79, anno della morte di Plinio. Essi simboleggiano i raggi solari, infatti la loro cuspide era dorata, ma erano anche slancio verso l’alto, verso la trascendenza, l’immortalità.
Due furono rinvenuti nei pressi del Mausoleo di Augusto, ben sette nell’area dei templi di Iside e Osiride (Via del Seminario), divinità della salvezza ultraterrena, postivi da Domiziano in modo da formare un viale come nei templi dell’antico Egitto; altri furono rinvenuti nei circhi Massimo, di Caligola e di Domiziano. A proposito di Caligola Plinio ci dice che fece costruire una nave enorme, usata soltanto per trasportare l’obelisco e l’imperatore Claudio la fece in seguito riempire di pozzolana ed affondare nel porto di Ostia per farne il molo di sinistra. Indagini eseguite durante la costruzione dell’Aeroporto di Fiumicino hanno permesso di stabilire che era lunga 80 metri. Il primo a portarli a Roma fu Augusto che nel 10 a.C. ne portò due come trofeo per il ventennale della conquista dell’Egitto . Molti altri obelischi vennero portati poi a Roma, sottratti ai templi faraonici ed altri furono espressamente cavati nelle famose cave di Siene (Assuan) con alcune varianti di ordine tecnico, in quanto le facce sono pressoché verticali e ne permettono il riconoscimento, inoltre non hanno il pyramidion. In questi i geroglifici furono incisi a Roma ad imitazione di quelli originali per ordine degli Imperatori.
I Papi che rimisero in
piedi gli obelischi (per primo Sisto V) li “ribattezzarono” nel nome di
Cristo, sole di Giustizia. Quindi oltre ad obbedire ad un desiderio di
abbellire Roma, vollero trasformarli in simbolo cristiano di slancio verso
l’alto, verso Dio collocandoli nelle piazze più belle di fronte alle grandi
basiliche cristiane.
L’origine del nome.
L’obelisco è un monolito tagliato per essere eretto, con 4 facce che si assottigliano verso l’alto. Termina con una cuspide dorata, Bemben, o pyramidion, detta anche aguglia, guglia. Quest’ultima denominazione potrebbe essere legata alla leggenda delle ceneri di Giulio Cesare poste sulla sommità dell’obelisco Vaticano, in quanto l’aquila (aguglia) era l’insegna di Cesare. Un’altra etimologia più fantasiosa vede nella parola guglia la voce latina Acus Iulia, con riferimento alla Gens Julia.
Il nome egizio era TEKHENU, i Greci li chiamarono Obelìscos che significa spiedo. La parola è stata adottata per indicare un monumento a forma di guglia terminante con una piramide.
Attualmente a Roma ci sono 13 obelischi antichi.
In ordine di altezza, sono: Obelisco Lateranense m. 32,18 con il basamento m.45,70 Vaticano m. 25,36 “ m.40,28 Flaminio m. 23,91 m.36,43 di Piazza Montecitorio m. 21,79 m.33,97 di Piazza Navona m. 16,31 m.30,17 Esquilino m. 14,75 m.25,53 del Quirinale m. 14,65 m.21,94 Sallustiano m. 13,91 m.15,21 Aureliano (Pincio) m. 9,24 m.17,26 del Pantheon m. 6,34 m.14,52 della Minerva m. 5,47 m.12,89 di Villa Celimontana m. 2,68 m.12,23 di Dogali m. 6,24 Altri obelischi : La Stele Marconi 1960 I due obelischi di Villa Torlonia che sono stati cavati in Italia ed innalzati nel 1842.
Nessuno dei 227 predecessori aveva pensato di legare il proprio augusto nome agli obelischi. Fu una trovata della vulcanica fantasia di Sisto V, Felice Peretti, apparente modesto frate minore conventuale, con la quale rievocava agli attoniti contemporanei l’ancora incompleta e quindi misteriosa grandezza dei faraoni e la grande figura di Augusto che per primo cominciò a portarli a Roma. Le biografie sono tutte concordi, parlano della fiera antipatia di Papa Gregorio XIII che mise in disparte il Cardinale di Montalto (il futuro Sisto V) che si ritirò nella sua vasta villa sull’Esquilino, dove sdegnato buttò giù disegni su disegni per la sua Roma insieme ad un ancora sconosciuto mastro muratore Domenico Fontana. Contro ogni previsione alla morte di Gregorio XIII, il Cardinale Montalto fu eletto Papa. Cosa era successo? Il Cardinale Decano, Alessandro Farnese, che aveva partecipato attivamente all’elezione di ben 6 papi, pose la sua candidatura, certo dell’elezione, ma trovò un ostacolo nel Cardinale Ferdinando dei Medici, fratello del Granduca di Toscana il quale temeva che eletto il Farnese, il di lui fratello, Ranuccio, Duca di Parma, diventasse un pericoloso confinante del Granducato di Toscana. Sisto V, buon teologo e buon predicatore fu però un disastro come urbanista, malgrado le sue velleità. A lui si devono le sistematiche distruzioni (o progetti di distruzione) di molte zone di Roma tra il Celio e il Palatino che avevano affascinato i più grandi artisti del ‘400 e ‘500. Distrusse tra l’altro, il Settizonio, tra il Colosseo e il Circo Massimo, con i cui marmi fece costruire i basamenti degli obelischi e restaurare la Colonna di Marco Aurelio. Dunque Sisto V fece innalzare 4 obelischi.
1- Obelisco Vaticano 10 settembre 1586 Il primo ad essere innalzato da Sisto V, il secondo per altezza ma il più importante per la Cristianità, è quello eretto in Piazza San Pietro.
E’ un solo blocco di porfido alto m 25,3, più i basamenti, in tutto m. 40,28. Fu innalzato dal faraone Nencoreo III nel VII secolo a, C, ad Heliopolis. Fu portato a Roma nel 37 d.C. dall’imperatore Caligola per ornare il suo Circo privato, ampliato poi da Nerone con i magnifici giardini che si estendevano a sud verso il Gianicolo e a Nord fino all’attuale Palazzo di Giustizia. Caligola, fanatico amante delle corse delle bighe, fu il primo imperatore a vestirsi da auriga e a mostrarsi in pubblico in quella veste. Quindi nessuna meraviglia se il giovane imperatore si costruì una pista privata per i suoi allenamenti, aperta poi al popolo “che lo levò al cielo con i suoi applausi” (Tacito). Morto Caligola, Seneca per acquietare la mania di grandezza del nuovo imperatore, il suo pupillo Nerone, fece restaurare e arricchire con file di gradinate il circo di Caligola, ormai in stato di abbandono (Tacito).
Sempre Tacito racconta che il 19 luglio del 64 d. C. scoppiò un incendio che distrusse tutta la città lasciando senza tetto migliaia di persone. Nerone aprì i suoi giardini che sorgevano nell’area del Vaticano, in cui era il Circo, agli “sfollati” che cominciarono a costruirvi casette e baracche. Vero o no che fosse autore dell’incendio proprio Nerone, questi pensò di addebitarne la colpa ai Cristiani, scatenando la prima persecuzione durante la quale morì l’apostolo Pietro. La testimonianza di Tacito ci permette anche di individuare il luogo della morte di Pietro “presso l’obelisco di Nerone”. Diversamente da tutti gli altri obelischi che furono trovati in pezzi, sepolti dalla terra, questo è l’unico che attraverso invasioni e saccheggi restò sempre eretto dal 40 d.C. fino a Sisto V (1586).
La ragione è senz’altro
da attribuire al fatto che si trovava nel luogo in cui l’Apostolo Pietro
subì il martirio e luogo di pellegrinaggio fin dai primi anni del
Cristianesimo. Non ha iscrizioni originarie in geroglifici ed è l’unico ad avere ancora l’iscrizione in latino postavi dall’imperatore Caligola. Il testo epigrafico si trova nella parte bassa del fusto, ripetuto identico su due facciate opposte, su tre righe. Vi si legge la dedica da parte di Caligola, dell’obelisco a Ottaviano Augusto e a Tiberio. Non fa il proprio nome in quanto era ovvio, perché sorgeva su un suo terreno e nel suo Circo privato. Alcuni sostengono che forse il suo nome era scolpito in una tabella posta alla base dell’obelisco, andata perduta nel corso dei secoli.
Secondo il racconto di
un prelato inglese, Magister Gregorius, venuto a Roma nei primi del
Duecento, l’obelisco, che allora si trovava all’interno della Città del
Vaticano, nell’ attuale Piazzetta dei Protomartiri, dietro la Sacrestia,
poggiava su 4 astragali (Talos) di bronzo, così chiamati perché ricordavano
la forma dell’osso del tarso di forma cubica che si appoggia sul calcagno,
ma anche l’osso delle zampe posteriori degli animali, a forma di otto
orizzontale, che i Romani usavano per i loro giochi (come quello dei dadi:
quando gli astragali gettati cadevano tutti con la stessa faccia, era il
colpo peggiore, o colpo del cane; se invece cadevano con le facce tutte
diverse, era il colpo Magister Gregorius, racconta anche che chi riusciva a strisciare nello spazio tra l’obelisco e la base, era mondato di tutti i suoi peccati. Questo a conferma della sacralità del luogo su cui sorgeva l’obelisco. Nel 1585 Sisto V decise di spostarlo in Piazza San Pietro. Al posto degli astragali tra l’obelisco e il basamento, furono messi 4 leoni di bronzo che hanno una singolare caratteristica: hanno una sola testa, ma è doppio il corpo che si allunga a destra e a sinistra per sorreggere gli angoli dell’obelisco. Quindi 4 teste e otto corpi. Il Pontefice incaricò dello spostamento Domenico Fontana.
Prevedendo le difficoltà ed i pericoli dell’impresa, Fontana aveva ottenuto che la piazza fosse completamente sbarrata e che fosse vietato di fare il minimo rumore, di pronunziare una sola parola, di lanciare il minimo grido. Per i contravventori era prevista la pena di morte. Il cronista, ma anche lo stesso Fontana che ci lasciò un documento su questo avvenimento, raccontano che per rendere più efficace il divieto fu innalzata sulla piazza una forca. Il 10 settembre 1586, dopo 13 mesi di lavoro, in 52 riprese l’obelisco fu sollevato verticalmente sulla base. Improvvisamente accadde un fatto che gelò il sangue nelle vene a tutti i presenti: le funi che sorreggevano il monolite si distesero a poco a poco e l’obelisco cominciò ad inclinarsi.
Un marinaio con lunga esperienza sull’uso dei canapi in mare, aveva suggerito la soluzione. Il consiglio fu seguito: le corde bagnate si restrinsero e l’obelisco fu raddrizzato e poggiato sulla base. Il marinaio, di nome Bresca, però aveva disobbedito e, la legge è legge, doveva essere punito.
Ma la ragione prevalse e
il marinaio che aveva salvato l’obelisco ma certo anche la vita del Fontana
che avrebbe pagato con la sua testa la cattiva riuscita dell’impresa, fu
chiamato dal Papa che lo perdonò e lo invitò a chiedere una grazia. Questi chiese il privilegio per sé e i suoi discendenti di fornire al Vaticano le palme per la cerimonia domenicale di Pasqua, quelle palme che crescono nella sua Liguria. Il monopolio fu accordato. Quasi tutte le fonti, manoscritti e stampe escludono che l’episodio di “Acqua alle funi” si riferisca all’obelisco di Piazza San Pietro. Un episodio del genere era accaduto nell’ippodromo di Costantinopoli durante i lavori per innalzare l’obelisco per volere di Teodosio nel 399. Di questo episodio riferì un viaggiatore tedesco che visitò Roma nel 1555 e che….di bocca in bocca si trasformò in leggenda metropolitana.
Nel 1788 l’abate Francesco Cancellieri descrivendo gli affreschi della Biblioteca Vaticana parla dell’episodio e identificava Bresca, il marinaio “dalle calzette verdi”, nel personaggio in basso a destra dell’affresco.
Forse la sua fonte è la stessa casa Bresca, di San Remo, che in realtà era il fornitore di “120 palme in due mazzi”, e che si vantava di possedere un diploma cinquecentesco concesso al suo presunto “antenato”. Comunque il popolo romano volle credere all’episodio e fu tramandato dalla voce popolare.
Il 26 settembre 1586 l’obelisco fu solennemente inaugurato con gli emblemi papali, con scritte che lo liberavano dalla dipendenza pagana, con la Croce sulla cuspide. Iniziava così l’epoca del riuso e della “santificazione” dei monoliti egiziani. Per molti anni si credé che nella Croce che Sisto V fece collocare al posto della palla di bronzo in cima all’obelisco, ci fossero dei frammenti della croce di Cristo. Ma un restauro eseguito nel 1740 provò che ciò non era vero, allora vi misero delle particelle del sacro Legno prese dai reliquari della Basilica. La palla di bronzo che la leggenda disse aver contenuto l’urna delle ceneri di Giulio Cesare, fu donata da Sisto V al Comune capitolino che la pose nel Palazzo dei Conservatori. Vi si notano ancora i fori delle archibugiate nei Lanzichenecchi durante il sacco di Roma del 1527.
2- Obelisco Esquilino di Santa Maria Maggiore
E’ il secondo obelisco eretto in Roma da Sisto V . L’obelisco cavato da Psammetico II nel VI secolo a. C., ma secondo alcuni di fattura romana perché non ha il pyramidion ed è privo di iscrizioni, era stato portato a Roma forse da Domiziano o Nerva per ornare l’ingresso con il suo gemello (quello ora a Piazza del Popolo) del Mausoleo di Augusto in Campo Marzio, giaceva in 4 pezzi, nei prezzi dell’attuale Chiesa di San Rocco in Via Ripetta ( la guglia di San Rocco).
Fu il Papa a volerlo in
quella posizione perché doveva essere ornamento della immensa Villa Montalto
di proprietà dei Peretti, il Casato di Sisto V, il cui ingresso si trovava
nei pressi ed era ancora visibile nel 1860. La Villa che si estendeva fino le attuali Via Marsala, Via del Viminale, Via Porta San Lorenzo e Via Cavour, fu abbattuta da Pio IX per la costruzione dell’attuale Stazione Termini; era tutta recintata ed aveva quattro ingressi monumentali. L’area era stata acquistata dal Cardinale Felice Peretti quando fu nominato titolare della Basilica di Santa Maria Maggiore nel 1570. Egli affidò la realizzazione della villa, il Casino Felice, a Domenico Fontana che si servì di materiali prelevati dalle vicine Terme di Diocleziano. Questi realizzò un edifico a tre piani caratterizzato da diversi stili architettonici forse troppo fastoso per un Cardinale secondo le critiche mossegli da contemporanei, a cui fu poi aggiunta un’altra costruzione, il Palazzo a Termini, vicino alle Terme di Diocleziano, molto più ampio del Casino Felice, che è l’unico edificio ancora esistente noto come Palazzo Massimo, ora Museo Nazionale Romano. Tutta la ricca decorazione pittorica del 1586-89, è andata distrutta tranne il fregio della Sala Grande, 14 pannelli del quale sono conservati all’Istituto Massimo all’EUR e pochi altri resti che sono in collezioni private. Dopo la morte di Sisto V (1590), sepolto in Santa Maria Maggiore, la villa passò a vari proprietari e da ultimo ai Massimo dal 1789 al 1860.
Condotto nella piazzetta retrostante la Basilica Liberiana da Badino di Stabia, l’Obelisco giacque per 20 mesi in attesa che si concludessero i lavori di quello Vaticano. Per renderla più adatta ad accogliere l’obelisco furono abbattute due chiesette: di S. Alberto e di S. Luca sede dal 1478 della Confraternita dei Pittori.
L’obelisco segna l’inizio del lungo rettifilo, la Via Felice, che taglia tre colli: l’Esquilino, il Viminale e il Pincio e sarà in seguito coronata nella parte finale da un altro obelisco, quello Sallustiano. Il basamento ha quattro iscrizioni. Su quella a Levante, volta verso l’ingresso della Villa, è l’obelisco stesso a parlare: “Con grande gioia guardo verso la culla di Cristo Dio vivente ed eterno, io che triste servivo al sepolcro del morto Augusto”. Quella di Ponente racconta la storia dell’obelisco portato a Roma dall’Egitto, dedicato ad Augusto nel suo Mausoleo, in seguito abbattuto e spezzato in più parti, giacente nella strada presso San Rocco,restituito all’antico suo aspetto ed eretto in onore della sacra Croce da Sisto V. Nella iscrizione che guarda a Nord, proprio di fronte alla via Felice si legge:” Io adoro Cristo Signore che Augusto vivente adorò nascituro da una Vergine, dopo di che egli non volle più essere detto Signore” che riecheggia una antica leggenda medioevale.
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L’Obelisco più alto e più antico e l’ultimo ad essere portato a Roma, è quello posto in Piazza San Giovanni.
Fu innalzato dal Faraone
Tutmosi III (1504-1450 a.C.) nel tempio di Ammone a Tebe, quindici secoli
prima di Cristo e sette prima della fondazione di Roma, quindi ha 3.500
anni. L’obelisco, un monolito di granito rosso, è alto 32 metri; con la Croce ed il basamento arriva a 47 metri. Fu trasferito a Roma da Costanzo II, figlio di Costantino, nel 357.
Per il suo trasporto fu costruita una nave di una lunghezza mai vista, mossa da trecento rematori, ben più grande di quella costruita da Caligola (nel 37 d.C.) per trasportare l’obelisco che porrà nel suo circo privato in Vaticano. Sbarcato nel Porto di Ostia, fu trascinato lungo il Tevere su un’immensa zattera fino allo scalo sulla Via Ostiense. Da qui fu trascinato per la città, pressappoco lungo l’attuale Viale Aventino; all’altezza dell’attuale Viale delle Terme di Caracalla entrò nel Circo Massimo dove fu innalzato e rimase poi, per molti secoli, abbattuto e semicoperto dalla terra.
Nel 1588 Sisto V incaricò Domenico Fontana di erigerlo a San Giovanni al posto della Statua di Marco Aurelio, ritenuta erroneamente di Costantino, trasferita in Piazza del Campidoglio.
L’iscrizione ricorda il Battesimo di Costantino che avvenne in quel luogo.
4- 4- Obelisco Flaminio 1589
L’Obelisco Flaminio, il secondo più antico, in Piazza del Popolo, è al centro della splendida piazza dove accanto alle memorie egizie troviamo la testimonianza di Roma antica, le Mura Aureliane, il Romanico e il Rinascimento di Santa Maria del Popolo, il Barocco delle due chiese Santa Maria in Monte Santo (degli Artisti) e Santa Maria dei Miracoli e il Neoclassico del Valadier. All’epoca di Sisto V unico ornamento della piazza era una modesta fontana eretta dal suo predecessore Gregorio XIII. Dopo varie destinazioni: ai frati di San Paolo, ai frati della basilica di Santa Croce in Gerusalemme, Sisto V decise di nobilitare l’antica chiesa di Santa Maria del Popolo innalzata al rango di chiesa stazionale (una delle Sette Chiese) in sostituzione della troppo lontana San Sebastiano fuori le Mura, facendo innalzare qui l’obelisco. Nel 1813 fu rimossa la fontanina ivi esistente e il Valadier vi costruì intorno la fontana con i quattro leoni egizi. E’ alto 23,91 metri e nei geroglifici ricorda Seti I (1318-1304 a.C.) e Ramsete II (1300 a.C.). Dal Tempio del Sole ad Eliopoli trasferito a Roma, da Augusto nel 10 a,C. per celebrare la conquista dell’Egitto, fu collocato nella “spina” del Circo Massimo, dove sarà affiancato, 350 anni dopo, da quello poi trasferito al Laterano. Sisto V lo fece disseppellire e innalzare nella Piazza inaugurandolo il 25 agosto 1589. Sul basamento è rimasta l’iscrizione Augustea della dedica al Sole, accompagnata sull’altra faccia dall’iscrizione sacra in cui si legge che ora è” più augusto e più lieto” perché posto dinanzi al tempio dedicato alla Vergine (Santa Maria del Popolo).
Drammatica la storia dell’obelisco di Villa Celimontana. E’ il più piccolo, infatti è alto appena 2 metri, ma è stato posto sopra una “aggiunta” di m. 10, in un granito di colore diverso dalla parte soprastante, di origine e provenienza ignota. Il vero e proprio obelisco, la parte in alto, presenta geroglifici, che invece mancano nella “aggiunta”. Portato a Roma da Elaiopoli dove era stato eretto da Ramsete II nel XIII secolo, fu posto nel Tempio di Iside Capitolina. Molti disegni e varie cronache ci informano che l’obelisco fu ritrovato nei pressi del Foro, fu innalzato di fianco all’ingresso della Basilica dell’Ara Coeli, in Piazza del Campidoglio, da Cola di Rienzo nel 1347. Fu posto accanto ad una palma del vicino orto dei frati minori a significare “Roma Caput Mundi”. Nel 1536 fu smontato e deposto sopra al cimitero del convento.
Inizialmente fu posto nel centro di un piazzale sul fianco sinistro dell’edificio e qui rimase fino al 1817 quando il nuovo proprietario, il Principe Godoi, lo fece trasferire in fondo al vialetto dove ancora si trova. Secondo cronache contemporanee, la base dell’obelisco imprigiona le mani di un operaio che lo stava collocando sul nuovo basamento per ordine del principe di Godoi. L’operaio stava accompagnando con le mani l’obelisco sulla base quando si ruppe una fune e la pesante mole imprigionò le mani e parte di un braccio del poveretto. Il principe impressionato per la disgrazia assicurò all’operaio una pensione che gli permise di vivere senza preoccupazioni fino alla morte.
* * * Il secolo XVII è caratterizzato dall’erezione di due soli obelischi, entrambi ad opera di G.L.Bernini che con la sua geniale intuizione concepisce l’obelisco non più statico e monotono, ma come elemento di un complesso architettonico dinamico.
Posto a coronamento della splendida fontana, capolavoro del Bernini, l’obelisco sembra erompere dalle fantasiose scogliere dove i quattro fiumi: Danubio, Nilo, Gange e Rio della Plata, simboleggiano il mondo allora conosciuto. In granito, alto m. 16,54,fu portato a Roma tra l’81 e il 96 d. C.. Fu prima posto nel Tempio di Iside, poi Massenzio lo fece trasferire nel suo Circo sulla Via Appia, da dove Innocenzo X Panphilij lo fece spostare in Piazza Navona per utilizzarlo in un monumento che ricordasse i fasti della sua famiglia.
Questo è uno degli
obelischi tipici dell’eta domizianea. Fu fatto cavare da Domiziano per
celebrare la Gens Flavia come dichiarano i geroglifici fatti incidere dallo
stesso imperatore.
Inizialmente Innocenzo X dette l’incarico di costruire la fontana al Borromini che, data la poca Acqua Vergine che giungeva nella piazza a malapena sufficiente per alimentare le due fontane laterali, fece i lavori di una nuova conduttura per portare l’acqua dalla fonte terminale dell’Acqua Vergine, cioè da Fontana di Trevi, fino a Piazza Navona. La Fontana in Piazza Trevi nel 1640 dopo la demolizione operata dal Bernini del suo antico prospetto, era rimasta un semplice abbozzo perché il denaro necessario per portarla a compimento era stato adoperato da Urbano VIII per la guerra contro il Ducato di Parma. (La fontana odierna fu realizzata nel 1733 da Nicola Salvi su incarico di Papa Clemente XII). Il Bernini tenuto in disparte, sentendo l’importanza che la fontana rappresentava per il Papa, che la voleva come degno coronamento del suo Palazzo, presentò il modello in argento di un suo progetto, donandolo al Olimpia, cognata del Papa. Ella ne rimase entusiasta e convinse il Papa ad affidare la costruzione della fontana al Bernini. La volontà di sfidare il rivale aveva stimolato l’ambizione e la genialità del Bernini che realizzò il suo capolavoro. Geniale fu l’abbandono del tradizionale basamento: lo scoglio su cui poggia l’obelisco è vuoto, questo esalta i quattro membri della scogliera quasi “quattro colossali zampe amorfe, emergenti dalle acqua della terra”.
Innocenzo X volle che
in cima all’obelisco fosse messo non il simbolo cristiano imposto da
Sisto V, ma una gigantesca colomba bronzea (alta m. 1,78) con l’ulivo in
bocca (elemento presente nel suo stemma) Nel 1651 venne inaugurata la fontana più bella e famosa della Roma barocca. L’iscrizione fatta incidere da Innocenzo X, parla della salubre amenità che vuole offrire a chi passeggia, a chi ha sete e a chi medita.
7- Obelisco di Piazza
Santa Maria sopra Minerva 1665
L’Obelisco eretto per la prima volta in Egitto dal faraone Aprie (589-570 a.C.), fu trovato in ottimo stato di conservazione, pur se a terra, nell’area circostante la Chiesa di Santa Maria sopra Minerva verso il 1665, nel giardino maggiore del Convento dei Domenicani, dalla parte verso Sant’Ignazio. L’Obelisco che ora orna Piazza della Minerva ( nome derivante dal Tempio di Minerva Calcidica, di età dominzianea sui cui ruderi fu poi costruita la chiesa stessa), è in granito rosa con geroglifici sulle 4 facciate ed è alto poco più di 5 metri, ma con il basamento raggiunge m. 12,69. Poggia sulla groppa di un elefantino così piccolo e grasso da assomigliare più ad un porcello che ad un pachiderma, tanto che fino al Settecento era chiamato dal popolo “ er porcin del La Minerva”, divenuto più tardi “il Pulcino”. Il disegno è di Bernini ma fu scolpito da Ercole Ferrara.
Il Bernini aveva presentato inizialmente un disegno (conservato nella Biblioteca Vaticana insieme a vari altri) di Ercole che sostiene l’obelisco, in bilico sulle proprie braccia, ma fu poi costretto a cambiare. Infatti il nuovo progetto che appare piuttosto statico, gli fu ordinato dal Papa che lo obbligò a seguire il più fedelmente possibile i suggerimenti tecnici contenuti in un libro di Polifilo pubblicato agli inizi del Cinquecento. In questo libro, la cui lettura entusiasmò il Pontefice, l’Autore racconta un “viaggio fantastico” arricchito da disegni ed incisioni tra le quali appare un elefante con un obelisco sulla groppa e sotto il ventre un cubo che dà l’illusione di essere proseguimento del medesimo obelisco, Non è improbabile che abbia contribuito alla scelta del secondo ed ultimo progetto un avvenimento del 1630, quando il re del Portogallo regalò al Papa Urbano VIII un elefante in carne ed ossa cui fu dato il nome di Annone ed ospitato nel Cortile del Belvedere. Cronisti e scrittori parlano di lui come di un animale intelligentissimo che ben presto divenne il beniamino della Corte Pontificia e del popolo. Oltre tutto erano secoli che non se ne vedeva uno a Roma. Comunque il primitivo progetto del Bernini fu bocciato anche per l’intervento di Padre Paglia, un domenicano che aveva presentato un suo progetto e sperava di vedersi affidata l’opera anche perché l’obelisco era stato rinvenuto dai Domenicani ed egli era un Domenicano. La posizione dell’elefante sarebbe la prova delle divergenze tra Bernini ed il Frate. G.G. Belli ricorda in un suo sonetto il distico satirico di un poeta senese del ‘600 rivolto al convento dei domenicani al quale l’elefante volge le terga: “ Vertit terga Elephas, versaque proboscide clamat : Kyriaci Fratres, hic ego vos habeo (vi tengo qui dove è rivolta la proboscide)”.
L’epigrafe posta sul basamento, dettata da Alessandro VII Chigi, contiene oltre la memoria storica, anche una ammonizione di carattere filosofico: i geroglifici del sapiente Egitto sono sostenuti dal più forte degli animali, il che significa che è proprio di una robusta mente sostenere una solida sapienza.
Passiamo ora agli obelischi eretti nel Settecento.
8- Obelisco di Piazza
del Pantheon 1711
E’ in granito rosso ed è alto poco più di 6 metri. Fu eretto da Ramsete II (1300-1234) ad Heliopolis. In epoca imprecisata fu trasportato a Roma ed eretto nell’Iseo Serapeo di Campo Marzio, insieme ad altri monoliti. Trovato nel corso del 1300 nell’area dove fu edificato il convento dei Domenicani vicino alla Basilica di Santa Maria sopra Minerva, fu eretto nel 1374 in Piazza San Macuto (Sant’Ignazio) dinanzi alla omonima chiesetta che lì sorgeva. Papa Clemente XI Albani lo fece spostare da lì dove giaceva in più pezzi, e innalzare in Piazza del Pantheon al di sopra della fontana che Giacomo della Porta aveva scolpito nel 1575. L’architetto che lo pose in opera, Filippo Barigioni, arricchì la fontana cinquecentesca con delfini, elementi rocciosi, stemmi pontifici, lo stemma degli Albani (la famiglia del pontefice) ed infine con la Croce. Non era stata un’impresa facile perché rischiava di soffocare la splendida linea della vasca in bigio africano (forse la più bella di Roma), sui cui bordi si affacciavano le maschere dellaportiane. Come si può constatare non vi è nessuna disarmonia, il Barigioni riuscì a legare perfettamente nel poco spazio permesso dal catino, l’elemento cinquecentesco preesistente con il pacato clamore del suo complesso.
Obelisco di Monte Cavallo in Piazza del Quirinale 1786
E’ uno dei due obelischi che fiancheggiavano l’ingresso del Mausoleo di Augusto. Inaugurato da Pio VI il 21 ottobre 1786, il monolito di granito rosso, alto m 14,64 non ha iscrizioni, quindi le sue origini sono molto incerte. Sappiamo che sorgeva davanti al Mausoleo di Augusto dove probabilmente fu posto al tempo di Domiziano, insieme all’altro trasferito a Piazza dell’Esquilino. Scoperti entrambi sotto Leone X (1519), uno, quello portato poi sull’Esquilino da Sisto V nel 1587, rimase ad ostacolare il traffico in mezzo alla strada, sul fianco della Chiesa di San Rocco per 70 anni; l’altro fu reinterrato. Nel 1548 Monsignor Francesco Sederini divenuto proprietario del Mausoleo e del terreno circostante, ottenne il permesso di scavare nel terreno intorno al Mausoleo così tra le altre cose trovò l’obelisco, ma non lo portò alla luce. E’ verosimile pensare che lo lasciò lì o per l’ eccessiva spesa di un restauro o per paura che con l’esproprio fosse portato scompiglio nei suoi splendidi giardini. Dopo questo nuovo seppellimento l’obelisco rimase dimenticato per più di 150 anni. Finalmente regnante Pio VI, durante i lavori di costruzione della fondamenta di piccole case nei pressi dell’Ospedale di San Rocco, nel 1781, fu riscoperto in tre pezzi con, a poca distanza, il basamento in due pezzi. Trasportato in Piazza del Quirinale, il Pontefice incaricò Giovanni Antinori del restauro e dell’innalzamento. L’obelisco fu eretto su un basamento tra le due statue di Castore e Polluce copie originali attribuite a Fidia e a Prassitele che già si trovavano sulla piazza e di fronte ad una fontana fatta costruire da Sisto V . Antinori mise in posizione divergente i Dioscuri sui rispettivi basamenti e in mezzo pose il basamento dell’obelisco, davanti al quale progettò anche una fontana in sostituzione di quella esistente.
La sistemazione dell’obelisco tra i due colossi e la fontana non fu semplice; la disposizione dei Dioscuri rivolti verso il Palazzo Papale, non piacque al popolo che una mattina fece trovare l’iscrizione “Opus Phidiae” coperta da un cartello che diceva “opus per Phidiae Pii Sextii”. Oggi possiamo dire che obelisco e statue sembrano nati per stare insieme in quella disposizione in eterno.
1787
Anche questo fu innalzato da Pio VI. Si può dire che sia un obelisco egizio-romano perché le iscrizioni furono incise ai tempo di Domiziano che le aveva fatte copiare dall’obelisco che ora sorge a Piazza del Popolo.
E’ in granito rosso ed alto m. 13,91. In età imperiale ornava i famosi Horti Sallustiani che Caio Sallustio Crispo possedeva tra il Quirinale ed il Pincio, arricchiti da Terme, Foro, un obelisco ed un magnifico palazzo. Qui Sallustio scrisse la Guerra contro Giugurta. Dopo la sua morte furono acquistati dall’imperatore Tiberio, ed in seguito fu il luogo di soggiorno preferito da molti imperatori. L’obelisco continuò a giacere rotto in tre pezzi nel luogo originario divenuto possedimento degli Orsini.
Nel 1733 Clemente XII chiese alla principessa Ludovisi la donazione dell’obelisco che intendeva innalzare in Piazza San Giovanni di fronte alla facciata principale che Alessandro Galilei stava costruendo. L’obelisco fu ceduto al Papa, ma gli architetti da lui interpellati lo dissuasero dal progetto di erigerlo in Piazza San Giovanni, dove avrebbe dovuto sostenere il confronto con il gigantesco colosso Sistino. Comunque i tre pezzi furono portati sulla piazza ed allineati in terra vicino alla Scala Santa. Cinquantanni dopo, Pio VI lo fece erigere sempre dall’architetto Antinori, di fronte alla magnifica facciata della Chiesa della SS. Trinità dei Monti in modo che prospettasse La Scalinata (Francesco De Santis 1723-1726), Via dei Condotti e che dal quadrivio di Via delle Quattro Fontane si potessero vedere gli Obelischi del Quirinale, dell’Esquilino ed il Sallustiano. Il 20 aprile 1787 fu inaugurato. C’è da aggiungere che i Ludovisi regalarono l’obelisco e non la base la quale ha una sua storia personale. Nel 1929 il basamento di granito rosso che ancora giaceva nella villa Ludovisi, fu trasformato in ara per ricordare nei secoli i caduti fascisti. Caduto il fascismo il blocco fu accantonato, e dimenticato, presso le mura repubblicane nel giardinetto del convento dei Minori conventuali d’Aracoeli.
1792 Secondo quanto racconta Plinio, contemporaneamente all’obelisco eretto nel 10 a.C. nel Circo Massimo per commemorare la conquista dell’Egitto, Augusto ne fece trasportare un altro, più piccolo facendolo erigere nel Campo Marzio ( dove fu rinvenuto in pezzi nel 1748) utilizzandolo come gnomone, cioè come braccio indicatore di un grande orologio solare. Proviene da Eliopoli dove fu innalzato nel VI secolo a. C. sotto il regno di Psammetico II ( 595-589 a.C.), che vi è raffigurato come una sfinge sdraiata e i cui geroglifici osannano le glorie del faraone. Sulla base Augusto fece incidere un’iscrizione di 7 righe ripetute esattamente sulla facciata opposta, che ricordano la conquista dell’Egitto e contengono una nuova dedica al Sole. Si dice anche che nella palla dorata posta sulla guglia furono poste le ceneri dell’imperatore Ottaviano Augusto. L’obelisco, in granito roso, alto 21 metri, presenta su due facciate iscrizioni che racchiudono una interpretazione dei fenomeni naturali secondo la scienza egiziana.
Quando fu ritrovato nel Settecento, sotto Benedetto XIV, Lambertini, in cinque pezzi e “abbrugiato” dal fuoco, ragioni che avevano fatto desistere Sisto V dall’impresa di riportarlo alla luce, nella cantina di una casa in Campo Marzio, cominciarono le dispute per capire se fosse stato una specie di horiuolo o uno gnomone che permettesse ai Romani di controllare che d’inverno le ombre erano più lunghe, più brevi quelle dell’estate. Comunque orologio o gnomone, per gli antichi Romani quell’obelisco che indicava il tempo sui regoli di bronzo sapientemente posti ai lati di una striscia di pietre adatta alla lunghezza dell’obelisco, rappresentava motivo di orgoglio. L’impresa di portarlo alla luce fu affidata a Nicola Zagaglia “uomo estremamente rozzo in quanto non aveva tintura alcuna di lettere”, ma “pur privo di qualunque cognizione scientifica, digiuno dei primi elementi di leggere e scrivere, fu dotato dalla natura di meraviglioso talento per le opere manuali meccaniche”. Egli dal maggio all’agosto del 1748 con “facilità meravigliosa” portò alla luce i frammenti dell’obelisco che per il momento furono allineati nel cortile del Palazzo del Lotto. Quaranta anni dopo fu eretto sulla Piazza di Montecitorio, nel 1792, da Giovanni Antinori ed il Papa volle che fosse posto sulla cuspide un globo in bronzo a somiglianza di quello postovi da Augusto: quando scocca Mezzogiorno un raggio di sole attraversa il foro inclinato e illumina in terra il Mezzodì.
sulla Passeggiata del Pincio
Secondo quanto ci tramandano gli storici antichi l’imperatore Adriano fu talmente addolorato per la morte nelle acque del Nilo del suo amasio, il bellissimo Antinoo, che tra le varie memorie a lui innalzate, volle ornare il suo cenotafio a Roma, con un obelisco, dove furono scolpiti geroglifici con la triste storia del giovane.
(parte del basamento, a sin. la “Casina delle Rose”) Alcuni però, sostengono che Adriano mai avrebbe scelto per l’amatissimo Antinoo un luogo della città deserto e così lontano dal proprio Mausoleo. Quindi si deve pensare che fu portato nel luogo in cui fu scoperto, successivamente, per ornare la spina di un circo lì esistente. Di questo obelisco non si ricordò più nessuno fino al tempo del Bernini che lo collocò provvisoriamente di fronte a Palazzo Barberini. Nel 1713 Donna Cornelia Barberini lo donò al Pontefice Clemente XIV che lo fece trasferire nel Cortile della Pigna in Vaticano dove rimase fino al tempo di Pio VII quando, completata la sistemazione del Pincio, l’architetto Giuseppe Marini lo innalzò nel piazzaletto dove tuttora lo vediamo.
Nell’area dell’antico tempio di Iside (tra Sant’Ignazio e Santa Maria sopra Minerva) fu trovato nel 1883, un altro obelisco, l’ultimo fino ad ora, insieme ad un piccolo tesoro di sculture egizie (una sfinge, due cinocefali, un piedistallo di un candelabro). Dopo varie proposte di sistemazione, nel 1887 si decise di innalzarlo sul Monumento ai 548 soldati caduti della Battaglia di Dogali nella sfortunata Guerra d’Africa.
Tale monumento fino al 1925 sorgeva dinnanzi alla vecchia Stazione Termini, poi fu spostato nel vicino giardinetto di Via delle Terme di Diocleziano dove fu arricchito nel 1936, dopo la conquista dell’Etiopia, del Leone di Giuda in bronzo, portato da Adis Abeba. Dopo la caduta del fascismo il leone fu restituito al Negus Ailè Selassiè.
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