OBELISCHI DI ROMA 

 

 

Nessuna città al mondo può vantare il numero di obelischi che sono a Roma. Provengono tutti dall’Egitto e furono portati a Roma subito dopo la conquista di quel Paese come gloriosi cimeli, emblema  del dominio dell’Urbe nel mondo.

Furono posti  come ornamento di circhi ed arene non perdendo la loro originale sacralità.

Dopo la fine dell’Impero Romano, con le invasioni barbariche molti obelischi caddero in rovina, di altri si persero le tracce, sepolti nell’oblio.

Con l’avvento del Rinascimento grandi Papi riproposero a Roma e ai Romani la bellezza degli obelischi che pian piano cominciavano a riaffiorare durante i lavori di costruzione e di restauro degli edifici e divennero oltre che ornamento, centro geometrico di grandi piazze e punto di orientamento per i pellegrini  già da molto lontano dall’Urbe.

 

Plinio il Vecchio (morto nella famosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C.) nei 37 libri della sua Storia Naturale ci tramanda che in terra d’Egitto esistevano 12 obelischi, di cui ci fornisce sia l’altezza che il nome del re che  ne curò l’estrazione o l’innalzamento.

 Ci dà notizia degli obelischi che erano stati trasferiti  a Roma: l’0belisco di Augusto, cavato da Psammetico II sotto il cui regno Pitagora andò in Egitto, innalzato nel Circo Massimo (e poi spostato  in Piazza del Popolo); l’altro, sempre di Augusto, cavato da Sesothis e innalzato in Campo Marzio come gnomone solare (e secoli dopo in Piazza Montecitorio); poi quello cavato da Nencoreo, portato a Roma da Caligola e innalzato nel Circo Vaticano.

Gli altri evidentemente furono portati a Roma dopo il 79, anno della morte di Plinio.

Essi simboleggiano i raggi solari, infatti la loro cuspide era dorata, ma erano anche slancio verso l’alto, verso la trascendenza, l’immortalità.

 

Due furono rinvenuti nei pressi del Mausoleo di Augusto, ben sette nell’area dei templi di Iside e Osiride  (Via del Seminario), divinità della salvezza ultraterrena, postivi da Domiziano in modo da formare un viale come nei templi dell’antico Egitto; altri furono rinvenuti nei circhi  Massimo, di Caligola e  di Domiziano.

A proposito di Caligola Plinio ci dice che  fece costruire una nave enorme, usata soltanto per trasportare l’obelisco e l’imperatore Claudio la fece in seguito riempire di pozzolana ed affondare nel porto di Ostia per farne il molo di sinistra. Indagini eseguite durante la costruzione dell’Aeroporto di Fiumicino hanno permesso di stabilire che era lunga 80 metri.

Il primo a portarli  a Roma fu Augusto che nel 10 a.C. ne portò due come trofeo per il ventennale della conquista dell’Egitto .

Molti altri obelischi vennero portati poi a Roma, sottratti ai templi faraonici ed altri furono espressamente cavati nelle famose cave di Siene (Assuan) con alcune varianti di ordine tecnico, in quanto le facce sono pressoché verticali e ne permettono il riconoscimento, inoltre non hanno il  pyramidion. In questi  i geroglifici furono incisi a Roma ad imitazione di quelli originali per ordine degli Imperatori.

 

 I Papi che rimisero in piedi gli obelischi  (per primo Sisto V) li “ribattezzarono”  nel nome di Cristo, sole di Giustizia. Quindi oltre ad obbedire ad un desiderio  di abbellire Roma, vollero  trasformarli in simbolo cristiano di  slancio verso l’alto, verso Dio collocandoli nelle piazze più belle  di fronte alle grandi basiliche cristiane.   

 

 

                    L’origine del nome.

 

L’obelisco è un monolito tagliato per essere eretto, con 4 facce che si assottigliano verso l’alto. Termina con una cuspide dorata, Bemben, o pyramidion, detta anche aguglia, guglia.

Quest’ultima denominazione potrebbe essere legata alla leggenda delle ceneri di Giulio Cesare poste sulla sommità dell’obelisco Vaticano, in quanto l’aquila (aguglia) era  l’insegna di Cesare.

Un’altra etimologia più fantasiosa vede nella parola guglia  la voce latina Acus Iulia, con riferimento alla Gens Julia.

 

Il nome egizio era TEKHENU, i  Greci li chiamarono Obelìscos che significa spiedo. La parola   è stata adottata per  indicare un monumento a forma di guglia terminante con una piramide.

 

Attualmente a  Roma ci sono 13 obelischi  antichi.

 

In ordine di altezza, sono:

Obelisco  Lateranense                         m. 32,18      con il basamento            m.45,70

                Vaticano                             m. 25,36               “                         m.40,28

                Flaminio                             m. 23,91                                          m.36,43

    di Piazza Montecitorio        m. 21,79                                          m.33,97

                di Piazza Navona                m. 16,31                                           m.30,17

                Esquilino                            m. 14,75                                          m.25,53

                del Quirinale                      m. 14,65                                          m.21,94

                Sallustiano                         m. 13,91                                           m.15,21

                Aureliano (Pincio)               m.  9,24                                           m.17,26

                del Pantheon                       m.  6,34                                           m.14,52

                della Minerva                     m.  5,47                                           m.12,89

                di Villa Celimontana             m.  2,68                                          m.12,23

                di Dogali                                                                                  m.  6,24

 Altri obelischi :

La Stele Marconi 1960

I due obelischi di Villa Torlonia che sono stati cavati in Italia ed innalzati nel 1842.

 

Vediamo prima di tutto i quattro obelischi eretti da Sisto V.

Nessuno dei 227 predecessori aveva pensato di legare il proprio augusto nome agli obelischi. Fu una trovata della vulcanica fantasia di Sisto V, Felice Peretti, apparente modesto frate minore conventuale, con la quale rievocava agli attoniti contemporanei l’ancora incompleta e quindi misteriosa grandezza dei faraoni e la grande figura di Augusto che per primo cominciò a portarli a Roma.

Le biografie sono tutte concordi, parlano della fiera antipatia di Papa Gregorio XIII che   mise in disparte il Cardinale di Montalto (il futuro Sisto V) che si ritirò nella sua vasta villa sull’Esquilino, dove sdegnato buttò giù disegni su disegni per la sua Roma insieme ad un ancora sconosciuto mastro muratore Domenico Fontana.

Contro ogni previsione alla morte di Gregorio XIII, il Cardinale Montalto fu eletto Papa.

Cosa era successo?

Il Cardinale Decano, Alessandro Farnese, che aveva partecipato attivamente all’elezione di ben 6 papi, pose la sua candidatura, certo dell’elezione, ma trovò un ostacolo nel Cardinale Ferdinando dei Medici, fratello del Granduca di Toscana il quale temeva che eletto il Farnese, il di lui fratello, Ranuccio, Duca di Parma, diventasse un pericoloso confinante del Granducato di Toscana.

Sisto V, buon teologo e buon predicatore fu però un disastro come urbanista, malgrado le sue velleità. A lui si devono le sistematiche distruzioni (o progetti di distruzione) di molte zone di Roma tra il Celio e il Palatino che avevano affascinato i più grandi artisti del ‘400 e ‘500.

Distrusse tra l’altro, il Settizonio, tra il Colosseo e il Circo Massimo, con i cui marmi fece costruire i basamenti degli obelischi e restaurare la Colonna di Marco Aurelio.

Dunque Sisto V fece innalzare 4 obelischi.

 

1-    Obelisco Vaticano  10 settembre 1586

Il  primo ad essere innalzato da Sisto V, il secondo per altezza ma  il più importante per la Cristianità, è quello eretto in  Piazza San Pietro.

E’ un solo blocco di porfido alto m 25,3, più i basamenti, in tutto m. 40,28. Fu innalzato dal faraone Nencoreo III nel VII secolo a, C, ad Heliopolis.

Fu portato a Roma nel 37 d.C. dall’imperatore Caligola per ornare il suo Circo privato, ampliato poi da Nerone con i magnifici giardini  che si estendevano a sud verso  il Gianicolo e a Nord  fino all’attuale Palazzo di Giustizia.

Caligola, fanatico amante delle corse delle bighe, fu il primo imperatore a vestirsi da auriga e  a mostrarsi in pubblico in quella veste. Quindi nessuna meraviglia se il giovane imperatore si costruì una pista  privata per i suoi allenamenti, aperta poi al popolo    “che lo levò al cielo con i suoi applausi” (Tacito).   

Morto Caligola, Seneca per acquietare la mania di grandezza del nuovo imperatore, il suo pupillo Nerone, fece restaurare e arricchire con file di gradinate il circo di Caligola, ormai in stato di abbandono (Tacito).

 

Sempre Tacito racconta che il 19 luglio del 64 d. C. scoppiò un incendio che distrusse tutta la città lasciando senza tetto migliaia di persone. Nerone aprì i suoi giardini  che sorgevano nell’area del Vaticano, in cui era il Circo, agli “sfollati” che  cominciarono a costruirvi casette e baracche.

Vero o no che fosse autore dell’incendio proprio Nerone,  questi pensò di addebitarne la colpa ai Cristiani, scatenando la prima persecuzione durante la quale morì l’apostolo Pietro. La testimonianza di Tacito ci permette anche di individuare il luogo della morte di Pietro “presso l’obelisco di  Nerone”.

Diversamente da tutti gli altri obelischi che furono trovati   in pezzi, sepolti dalla terra, questo è l’unico che attraverso invasioni e saccheggi restò sempre eretto dal 40 d.C. fino a Sisto V (1586).

La ragione è senz’altro da attribuire al fatto che si trovava nel luogo  in cui  l’Apostolo Pietro subì il martirio e  luogo di pellegrinaggio fin dai primi anni del Cristianesimo.

Non ha iscrizioni originarie in  geroglifici ed è  l’unico ad avere  ancora l’iscrizione in latino postavi dall’imperatore Caligola.

Il testo epigrafico  si trova nella parte bassa del fusto, ripetuto identico  su due facciate opposte, su tre righe. Vi si legge la dedica da parte di Caligola, dell’obelisco a Ottaviano Augusto  e a Tiberio. Non fa il proprio nome in quanto era ovvio, perché sorgeva  su un suo terreno e nel suo Circo privato. Alcuni sostengono che forse  il suo nome era scolpito in una tabella posta alla base dell’obelisco, andata perduta nel corso dei secoli.

Secondo il racconto di un prelato inglese, Magister Gregorius, venuto a Roma nei primi del Duecento, l’obelisco,  che allora si trovava all’interno della Città del Vaticano, nell’ attuale Piazzetta dei Protomartiri, dietro la Sacrestia, poggiava su 4 astragali (Talos) di bronzo, così chiamati perché ricordavano la forma dell’osso del tarso di forma cubica che si appoggia sul calcagno, ma anche l’osso delle zampe posteriori degli animali, a forma di otto orizzontale, che i Romani usavano per i loro giochi (come  quello dei dadi: quando gli astragali gettati cadevano tutti con la stessa faccia, era il colpo peggiore, o colpo del cane; se invece cadevano con le facce tutte diverse, era il colpo migliore, colpo di Venere). L’astragalo aveva quasi la stessa forma del segno “infinito” o di un otto sdraiato.

Magister Gregorius, racconta anche che  chi riusciva a strisciare nello spazio tra l’obelisco e la base, era mondato di tutti i suoi peccati. Questo a conferma della sacralità del luogo su cui sorgeva l’obelisco.

Nel 1585  Sisto V decise di spostarlo in Piazza San Pietro. Al posto degli astragali tra l’obelisco e il basamento, furono messi 4 leoni di bronzo che hanno una singolare caratteristica: hanno una sola testa, ma  è doppio il corpo che si allunga a destra e a sinistra per sorreggere gli angoli dell’obelisco. Quindi 4 teste e otto corpi.

Il Pontefice incaricò dello spostamento Domenico Fontana.

Per innalzare l’obelisco che era alto  25 metri e pesava 3.500 tonnellate, Fontana fece erigere  una robusta impalcatura con argani e carrucole per farvi scorrere le funi; per azionarli vi lavoravano 800 uomini e 75 cavalli.

Prevedendo le difficoltà ed i pericoli dell’impresa, Fontana aveva ottenuto   che la piazza fosse completamente sbarrata e che fosse vietato  di fare il minimo rumore, di pronunziare una sola parola, di lanciare il minimo grido. Per i contravventori  era prevista la pena di morte.

Il cronista, ma anche lo stesso Fontana che ci lasciò un documento  su questo avvenimento, raccontano che per rendere più efficace il divieto  fu innalzata sulla piazza una forca.

Il 10 settembre 1586, dopo 13 mesi di lavoro, in 52 riprese l’obelisco fu sollevato verticalmente sulla base.

Improvvisamente accadde  un fatto che gelò il sangue  nelle vene a tutti i presenti: le funi che sorreggevano il monolite si distesero a poco a poco  e l’obelisco cominciò ad inclinarsi.

Quand’ecco che nel silenzio si udì un grido “ Acqua alle funi”.

Un marinaio con lunga esperienza  sull’uso dei canapi in mare, aveva suggerito la soluzione.

Il consiglio fu seguito: le corde bagnate  si restrinsero  e l’obelisco fu raddrizzato e poggiato sulla base.

Il marinaio, di nome Bresca, però aveva disobbedito  e,  la legge è legge, doveva essere punito.

Ma la ragione prevalse e il marinaio che aveva salvato l’obelisco ma certo anche la vita del Fontana che  avrebbe pagato con la sua testa  la cattiva riuscita dell’impresa, fu chiamato  dal  Papa che  lo perdonò e lo invitò a chiedere una grazia.

Questi chiese il privilegio per sé e i suoi discendenti di fornire al Vaticano le palme per la cerimonia domenicale di Pasqua, quelle palme che crescono nella sua Liguria.

Il monopolio fu accordato.

Quasi tutte le fonti, manoscritti e stampe escludono che l’episodio di “Acqua alle funi” si riferisca all’obelisco di Piazza San Pietro.

Un episodio  del genere era accaduto nell’ippodromo di Costantinopoli durante i lavori per innalzare l’obelisco   per volere di Teodosio nel 399.

 Di questo episodio riferì un viaggiatore tedesco che visitò Roma nel 1555 e che….di bocca in bocca si trasformò in leggenda metropolitana.

 

Nel 1788 l’abate  Francesco Cancellieri descrivendo gli affreschi della Biblioteca Vaticana  parla dell’episodio  e identificava Bresca,  il marinaio “dalle calzette verdi”,  nel personaggio  in basso a destra dell’affresco.

 

Forse la sua fonte è la stessa casa Bresca, di San Remo, che in realtà era il fornitore di “120 palme in due mazzi”, e che  si vantava di   possedere un diploma cinquecentesco concesso al suo presunto “antenato”.

Comunque il popolo romano  volle credere all’episodio e fu tramandato dalla voce popolare.

Domenico Fontana che ci ha lasciato una dettagliata relazione del trasporto e dell’innalzamento dell’obelisco sulla Piazza  di fronte alla Basilica, ci dà notizia che l’obelisco poggiava su 4 grossi basamenti a pianta quadrata, mentre a pianta rettangolare (m. 5 x 3) era “lo zoccolo di marmo bianco” che sporgeva dal terreno per sostenere i 4 basamenti superiori e l’obelisco. Questo zoccolo in marmo bianco  fu da lui riutilizzato nel nuovo posto dell’obelisco, dove si può tuttora vedere. 

Il 26 settembre 1586 l’obelisco fu solennemente inaugurato  con gli emblemi papali, con scritte che lo liberavano dalla dipendenza pagana, con la Croce sulla cuspide.

Iniziava così  l’epoca del riuso e della “santificazione” dei monoliti egiziani.

Per molti anni si credé che  nella Croce che Sisto V fece collocare al posto della palla di bronzo in cima all’obelisco, ci fossero dei frammenti della croce di Cristo. Ma un restauro eseguito nel 1740  provò che ciò non era vero, allora vi misero delle particelle del sacro Legno prese dai reliquari della Basilica.

La palla di bronzo che la leggenda disse aver contenuto l’urna delle ceneri di Giulio Cesare, fu donata da Sisto V al Comune capitolino che la pose nel Palazzo dei Conservatori. Vi si notano ancora i fori delle archibugiate nei Lanzichenecchi durante il sacco di Roma del 1527.

 

 

2- Obelisco Esquilino di  Santa Maria Maggiore   

 

E’ il secondo obelisco eretto in Roma da Sisto V .

L’obelisco cavato da Psammetico II nel VI secolo a. C., ma secondo alcuni di fattura romana perché non ha il pyramidion ed è privo di iscrizioni, era stato portato a Roma forse da Domiziano o Nerva per ornare l’ingresso con il suo gemello (quello ora a Piazza del Popolo) del Mausoleo di Augusto in Campo Marzio, giaceva in 4 pezzi, nei prezzi dell’attuale Chiesa di San Rocco in Via Ripetta ( la guglia di San Rocco).

 

Nel 1585  il Fontana con la collaborazione del fratello Marsilio e del promettente nipote Carlo Maderno, iniziò i lavori per l’erezione dell’obelisco  dietro l’abside di Santa Maria Maggiore.

Fu il Papa a volerlo in quella posizione perché doveva essere ornamento della immensa Villa Montalto di proprietà dei Peretti, il Casato di Sisto V, il cui ingresso si trovava nei pressi ed era ancora visibile nel 1860.

La Villa che si estendeva fino le attuali Via Marsala, Via del Viminale, Via Porta San Lorenzo e Via Cavour, fu abbattuta da Pio IX per la costruzione dell’attuale Stazione Termini; era tutta recintata ed aveva quattro ingressi monumentali.

L’area era stata acquistata dal Cardinale Felice Peretti quando fu nominato titolare della Basilica di Santa Maria Maggiore nel 1570. Egli affidò la realizzazione della villa, il Casino Felice, a Domenico Fontana che si servì di materiali prelevati dalle vicine Terme di Diocleziano.

Questi realizzò un edifico a tre piani caratterizzato da  diversi stili architettonici forse troppo fastoso per un Cardinale secondo le critiche mossegli da contemporanei, a cui fu poi aggiunta un’altra costruzione, il Palazzo a Termini, vicino alle Terme di Diocleziano, molto più ampio del Casino Felice, che è l’unico edificio ancora esistente noto come Palazzo Massimo, ora Museo Nazionale Romano.

Tutta la ricca decorazione pittorica del 1586-89, è andata distrutta tranne il fregio della Sala Grande, 14 pannelli del quale sono conservati  all’Istituto Massimo all’EUR e pochi altri resti che sono in collezioni private.

Dopo la morte di Sisto V (1590), sepolto in Santa Maria Maggiore, la villa passò a vari proprietari e da ultimo ai Massimo dal 1789 al 1860.

 

 Condotto  nella piazzetta retrostante la Basilica Liberiana da Badino di Stabia, l’Obelisco giacque per 20 mesi in attesa che si concludessero i lavori di quello Vaticano. Per renderla più adatta ad accogliere l’obelisco furono abbattute due chiesette: di S. Alberto e di S. Luca sede dal 1478 della Confraternita dei Pittori.

 

L’obelisco segna l’inizio del lungo rettifilo, la Via Felice, che taglia tre colli: l’Esquilino, il Viminale e il Pincio e sarà in seguito coronata nella parte finale da un altro obelisco, quello Sallustiano.

Il basamento ha quattro iscrizioni.

Su quella  a Levante, volta verso l’ingresso della Villa, è l’obelisco stesso a parlare: “Con grande gioia guardo verso la culla di Cristo Dio vivente ed eterno, io che triste servivo al  sepolcro del morto Augusto”.

Quella di Ponente racconta la storia dell’obelisco portato a Roma dall’Egitto, dedicato ad Augusto nel suo Mausoleo, in seguito abbattuto e spezzato in più parti, giacente nella strada presso San Rocco,restituito  all’antico suo aspetto ed eretto in onore della  sacra Croce da Sisto V.

Nella iscrizione  che  guarda a Nord, proprio di fronte alla via Felice si legge:” Io adoro Cristo Signore che Augusto vivente adorò nascituro da una Vergine, dopo di che egli non volle più essere detto Signore” che riecheggia una antica leggenda medioevale.

 

 

 

 

2        3- Obelisco Lateranense  1588

 

 L’Obelisco più alto e più antico e l’ultimo ad essere portato a Roma, è quello posto in Piazza San Giovanni.

 

Fu innalzato dal Faraone Tutmosi III (1504-1450 a.C.) nel tempio di Ammone a Tebe, quindici secoli prima di Cristo e sette prima della fondazione di Roma, quindi     ha 3.500 anni.                                                     

L’obelisco, un monolito di granito rosso, è alto 32 metri; con la Croce  ed il basamento arriva  a 47 metri.

Fu trasferito a Roma  da Costanzo  II,  figlio di Costantino, nel 357.

 

Per il suo trasporto fu costruita una nave di  una lunghezza mai vista, mossa da trecento rematori, ben più grande di quella costruita da Caligola (nel 37 d.C.) per trasportare l’obelisco che porrà nel suo circo privato in Vaticano.

Sbarcato nel Porto di Ostia, fu trascinato lungo il Tevere su un’immensa zattera fino allo scalo sulla Via Ostiense. Da qui fu trascinato  per la città, pressappoco lungo l’attuale Viale Aventino; all’altezza dell’attuale Viale delle Terme di Caracalla entrò nel Circo Massimo dove fu innalzato e rimase poi, per molti secoli, abbattuto e semicoperto dalla terra.

 

 Nel  1588 Sisto V incaricò Domenico Fontana  di erigerlo a San Giovanni al posto della Statua di Marco Aurelio, ritenuta erroneamente di Costantino, trasferita in Piazza del Campidoglio.

 

L’iscrizione ricorda il Battesimo di Costantino che avvenne in quel luogo.

 

4-        4- Obelisco  Flaminio  1589

 

L’Obelisco Flaminio, il secondo più antico,  in Piazza del Popolo, è al centro della splendida piazza dove accanto alle memorie egizie troviamo la testimonianza di Roma antica, le Mura Aureliane, il Romanico  e il Rinascimento di Santa Maria  del Popolo, il Barocco  delle due chiese  Santa Maria in Monte Santo (degli Artisti) e Santa Maria dei Miracoli e il Neoclassico del Valadier.

 All’epoca di Sisto V unico ornamento della piazza era una modesta fontana eretta dal suo predecessore Gregorio XIII.

Dopo varie destinazioni: ai frati di San Paolo, ai frati della basilica di Santa Croce in Gerusalemme, Sisto V decise di nobilitare l’antica chiesa di Santa Maria del Popolo innalzata al rango di chiesa stazionale (una delle Sette Chiese) in sostituzione della troppo lontana San Sebastiano fuori le Mura, facendo innalzare qui l’obelisco.

Nel 1813 fu rimossa la fontanina ivi esistente e il Valadier vi costruì intorno la fontana con i quattro leoni egizi.

E’ alto 23,91 metri e nei  geroglifici  ricorda Seti I (1318-1304 a.C.) e Ramsete II (1300 a.C.). Dal Tempio del Sole ad Eliopoli trasferito a Roma, da Augusto nel 10 a,C. per celebrare la conquista dell’Egitto, fu collocato  nella “spina” del Circo Massimo, dove sarà affiancato, 350 anni dopo, da quello poi trasferito al Laterano.     

Sisto V lo fece disseppellire e innalzare nella Piazza inaugurandolo il 25 agosto 1589.

 Sul basamento è rimasta l’iscrizione Augustea della dedica al Sole, accompagnata sull’altra faccia  dall’iscrizione  sacra  in cui si legge che ora è” più augusto e più lieto” perché posto dinanzi al tempio dedicato alla Vergine (Santa Maria del Popolo).

 

 

 

 5- Obelisco di Villa Celimontana

   

Drammatica la storia dell’obelisco di Villa Celimontana.

    E’ il  più piccolo, infatti è alto appena 2 metri, ma è stato posto sopra una “aggiunta” di m. 10, in un granito di colore diverso dalla parte soprastante, di origine e provenienza ignota. Il vero e proprio obelisco, la parte in alto, presenta geroglifici, che invece mancano nella “aggiunta”.

Portato a Roma  da Elaiopoli dove era stato eretto da Ramsete II nel XIII  secolo, fu posto nel Tempio di Iside Capitolina.

Molti disegni e varie cronache ci informano  che l’obelisco fu ritrovato nei pressi del Foro, fu innalzato di fianco all’ingresso della Basilica dell’Ara Coeli, in Piazza del Campidoglio, da Cola di Rienzo nel 1347.

Fu posto accanto ad una palma del vicino  orto dei frati minori a significare “Roma Caput Mundi”.

Nel 1536 fu smontato e deposto sopra al cimitero del convento.

 

 

 

 

 

 

Nel 1582 Ciriaco Mattei, principe di Rocca Sinibalda, ricevutolo in dono  dal Comune di Roma, per le sue benemerenze, lo trasferì nella sua Villa, appunto Villa Mattei, ora Celimontana.

Inizialmente fu posto nel centro di un piazzale sul fianco sinistro dell’edificio e qui rimase fino  al 1817 quando il nuovo proprietario, il Principe Godoi, lo fece trasferire in fondo al vialetto dove ancora si trova.

Secondo cronache contemporanee, la base dell’obelisco imprigiona le mani di un operaio che lo stava collocando sul nuovo basamento per ordine del principe di Godoi. L’operaio stava accompagnando  con le mani l’obelisco sulla base quando si ruppe una fune e la pesante mole imprigionò le mani e parte di un braccio del poveretto. Il principe impressionato per la disgrazia assicurò all’operaio  una pensione  che gli permise di vivere senza preoccupazioni fino alla morte.

 

                                           * * *

Il secolo XVII è caratterizzato dall’erezione di due soli obelischi, entrambi  ad opera di  G.L.Bernini che con la sua geniale intuizione concepisce l’obelisco non  più  statico e monotono, ma come elemento di un complesso architettonico dinamico.

     

                                                                                                                                                                                                       

               6- Obelisco di Piazza Navona   1651

 

 Posto a coronamento della splendida fontana, capolavoro del Bernini, l’obelisco sembra erompere dalle fantasiose scogliere dove i quattro fiumi: Danubio, Nilo, Gange e Rio della Plata, simboleggiano il mondo allora conosciuto.

In granito, alto m. 16,54,fu portato a Roma tra l’81 e il 96 d. C..

Fu  prima posto nel Tempio di Iside, poi Massenzio lo fece trasferire nel suo Circo sulla Via Appia, da dove Innocenzo X Panphilij lo fece  spostare in Piazza Navona per utilizzarlo in un monumento che ricordasse  i fasti della sua famiglia.

Questo è uno degli obelischi tipici dell’eta domizianea. Fu fatto cavare da Domiziano  per celebrare la Gens Flavia come dichiarano i geroglifici fatti incidere dallo stesso imperatore.

 

Inizialmente Innocenzo X dette l’incarico  di costruire la fontana al Borromini che,  data la poca Acqua Vergine  che giungeva nella piazza a malapena sufficiente per alimentare le due fontane laterali, fece i lavori di una nuova conduttura per portare l’acqua dalla fonte terminale dell’Acqua Vergine, cioè da Fontana di Trevi, fino a Piazza Navona.

La Fontana in Piazza Trevi nel 1640 dopo la demolizione operata dal Bernini del suo antico prospetto, era rimasta un semplice abbozzo perché il denaro necessario per portarla a  compimento era stato adoperato da Urbano VIII per la guerra contro il Ducato di Parma. (La fontana odierna fu realizzata nel 1733 da Nicola Salvi su incarico di Papa Clemente XII).

Il Bernini  tenuto in disparte, sentendo l’importanza che la fontana rappresentava per il  Papa,  che la voleva  come degno coronamento del suo Palazzo, presentò il modello in argento di un suo progetto, donandolo al Olimpia, cognata del Papa. Ella ne rimase entusiasta e convinse il Papa  ad affidare la costruzione della fontana al Bernini.

La volontà di sfidare il rivale  aveva stimolato l’ambizione e la genialità del Bernini che realizzò il suo capolavoro.

Geniale fu l’abbandono del tradizionale basamento: lo scoglio su cui poggia l’obelisco è vuoto, questo esalta i quattro membri della scogliera quasi “quattro colossali zampe amorfe, emergenti dalle acqua della terra”.

Innocenzo X  volle  che  in cima all’obelisco  fosse  messo non il simbolo cristiano imposto da Sisto V, ma una gigantesca colomba bronzea (alta m. 1,78) con l’ulivo in bocca (elemento presente nel suo stemma)

Nel 1651 venne inaugurata la fontana più bella e famosa della Roma barocca. L’iscrizione fatta incidere da Innocenzo X,  parla della salubre amenità che vuole offrire a chi passeggia, a chi ha sete e a chi medita.

 

 

 

 

 

 

       

7- Obelisco di Piazza Santa Maria sopra Minerva

     1665

 

L’Obelisco  eretto per la prima volta in Egitto dal faraone Aprie (589-570 a.C.), fu trovato in ottimo stato di conservazione, pur se a terra, nell’area circostante la Chiesa di Santa Maria sopra Minerva verso il 1665, nel giardino maggiore del Convento dei Domenicani, dalla parte verso Sant’Ignazio.

L’Obelisco che ora orna Piazza della Minerva ( nome derivante dal Tempio di Minerva Calcidica, di età dominzianea sui cui ruderi  fu poi costruita la chiesa stessa), è in granito rosa con geroglifici sulle 4 facciate ed è alto poco più di 5 metri, ma con il basamento  raggiunge m. 12,69.

 Poggia sulla groppa di un elefantino così piccolo e grasso da assomigliare più ad un porcello che ad un pachiderma, tanto che fino al Settecento era chiamato dal popolo “ er porcin del La Minerva”, divenuto più tardi “il Pulcino”.

Il disegno è di Bernini ma  fu scolpito da Ercole Ferrara.

 

Il Bernini aveva presentato  inizialmente un disegno (conservato nella Biblioteca Vaticana insieme a vari altri) di Ercole che sostiene l’obelisco, in bilico sulle proprie braccia, ma fu poi costretto a cambiare. Infatti il nuovo progetto che appare piuttosto statico, gli fu ordinato dal Papa  che lo obbligò  a seguire il più fedelmente possibile i suggerimenti tecnici contenuti in un libro di Polifilo pubblicato agli inizi del Cinquecento. In questo libro, la cui lettura entusiasmò il Pontefice, l’Autore racconta un “viaggio fantastico” arricchito da disegni ed incisioni tra le quali appare un elefante con un obelisco sulla groppa e sotto il ventre un cubo che dà l’illusione di essere  proseguimento del medesimo obelisco,

Non è improbabile che abbia contribuito alla scelta del secondo ed ultimo  progetto un avvenimento del 1630, quando il re del Portogallo regalò al Papa Urbano VIII un elefante in carne ed ossa cui fu dato il nome di Annone ed ospitato nel Cortile del Belvedere.

Cronisti e scrittori parlano di lui come di un animale intelligentissimo che ben presto divenne il beniamino della Corte Pontificia e del popolo. Oltre tutto erano secoli che non se ne vedeva uno a Roma.

  Comunque il primitivo progetto del Bernini fu bocciato anche per l’intervento di Padre Paglia, un domenicano che aveva presentato un suo progetto e sperava di vedersi affidata l’opera anche perché l’obelisco era stato rinvenuto dai Domenicani ed egli era un Domenicano.

La posizione dell’elefante sarebbe la prova delle divergenze tra Bernini ed il Frate.

G.G. Belli ricorda in un suo sonetto  il distico satirico  di un poeta senese del  ‘600 rivolto al convento dei domenicani al quale l’elefante volge le terga: “ Vertit terga Elephas, versaque proboscide clamat : Kyriaci  Fratres, hic ego vos habeo (vi tengo qui dove è rivolta la proboscide)”.

 

L’epigrafe posta sul basamento, dettata da Alessandro VII Chigi, contiene oltre la memoria storica, anche una ammonizione di carattere filosofico: i geroglifici del sapiente Egitto sono sostenuti dal più forte degli animali, il che significa che è proprio di una robusta mente sostenere una solida sapienza.

 

 

 

Passiamo ora  agli obelischi eretti nel Settecento.

8-  Obelisco di Piazza del Pantheon

      1711 

 

E’ in granito rosso ed è alto poco più di 6 metri. Fu eretto da Ramsete II (1300-1234) ad Heliopolis. In epoca imprecisata fu trasportato a Roma ed eretto nell’Iseo Serapeo di Campo Marzio, insieme ad altri monoliti.

Trovato nel corso del 1300 nell’area dove fu edificato il convento dei Domenicani vicino alla Basilica di Santa Maria sopra Minerva, fu eretto nel 1374 in Piazza San Macuto (Sant’Ignazio) dinanzi alla omonima chiesetta che lì sorgeva.

Papa Clemente XI  Albani  lo fece spostare da lì dove giaceva  in più  pezzi, e  innalzare in  Piazza del Pantheon  al   di sopra della fontana  che Giacomo della Porta aveva scolpito nel 1575.

L’architetto che lo pose in opera, Filippo Barigioni, arricchì la fontana cinquecentesca  con delfini, elementi rocciosi, stemmi pontifici, lo stemma  degli Albani (la famiglia del pontefice) ed infine con la Croce.

Non era stata un’impresa facile perché rischiava di soffocare la splendida linea della vasca in bigio africano (forse la più bella di Roma), sui cui bordi si affacciavano le maschere dellaportiane.

       Come si può constatare non vi è nessuna disarmonia, il Barigioni riuscì a legare perfettamente nel poco spazio  permesso dal catino, l’elemento cinquecentesco preesistente con il pacato clamore del suo complesso.

 

 

 Obelisco di Monte Cavallo  in Piazza del Quirinale  1786

 

E’ uno dei due obelischi che fiancheggiavano l’ingresso del Mausoleo di Augusto.

Inaugurato da Pio VI il 21 ottobre 1786, il monolito di granito rosso, alto m 14,64 non ha iscrizioni, quindi   le sue origini  sono molto incerte. Sappiamo che sorgeva  davanti al Mausoleo di Augusto dove probabilmente fu posto al tempo di Domiziano, insieme all’altro trasferito a Piazza dell’Esquilino.

Scoperti entrambi sotto Leone X (1519), uno, quello portato poi sull’Esquilino da Sisto V nel 1587, rimase ad ostacolare il traffico in mezzo alla strada, sul fianco della Chiesa di San Rocco per 70 anni; l’altro fu reinterrato.

Nel 1548 Monsignor Francesco Sederini divenuto proprietario del Mausoleo e del terreno circostante, ottenne il permesso di scavare nel terreno intorno al Mausoleo così tra le altre cose trovò l’obelisco, ma non lo portò alla luce.

E’ verosimile pensare che lo lasciò lì o per l’ eccessiva spesa di un restauro o per  paura che con l’esproprio fosse portato scompiglio nei suoi splendidi giardini.

Dopo questo nuovo seppellimento l’obelisco rimase dimenticato per più di 150 anni.

Finalmente regnante Pio VI, durante i lavori di costruzione della fondamenta di piccole case nei pressi dell’Ospedale di San Rocco, nel 1781, fu riscoperto in tre pezzi con, a poca distanza, il basamento in due pezzi.

Trasportato in Piazza del Quirinale, il Pontefice incaricò Giovanni Antinori del restauro e dell’innalzamento.

L’obelisco fu eretto su un basamento tra le due statue di Castore e Polluce copie originali attribuite a Fidia e a Prassitele  che già si trovavano sulla piazza e di fronte ad una fontana  fatta costruire da Sisto V .

Antinori mise in posizione divergente i Dioscuri sui rispettivi basamenti e in mezzo pose il basamento dell’obelisco, davanti al quale progettò anche una fontana in sostituzione di quella esistente.

Dal Tempio dei Dioscuri  nel Campo Vaccino nel Foro Romano, dove Giacomo della Porta nel 1593 l’aveva sistemata a fontanile per abbeverare il bestiame, fu portata sul Quirinale la splendida tazza in granito orientale. Ma solo sotto Pio VII la fontana fu completata da Raffaele Stern, nel 1818, che vi aggiunse la grande conca contornata da piastrini.

La sistemazione dell’obelisco tra i due colossi e la fontana non fu semplice;  la disposizione dei Dioscuri rivolti verso il Palazzo Papale,  non piacque al popolo che una mattina fece trovare  l’iscrizione “Opus Phidiae” coperta da un cartello che diceva “opus per Phidiae Pii Sextii”.

 Oggi possiamo dire che obelisco e statue  sembrano  nati per stare insieme in quella disposizione in eterno.

 

  Obelisco Sallustiano di Trinità dei Monti 

                                              1787

 

Anche questo fu innalzato da Pio VI. Si può dire che sia un obelisco egizio-romano perché le iscrizioni furono incise ai tempo di Domiziano che le aveva fatte copiare dall’obelisco che ora sorge a Piazza del Popolo.

Portato a Roma nel II-III secolo d.C. ma comunque sicuramente dopo il 79 d. C., in  quanto Plinio il Vecchio (morto nel 79 d.C.). nel suo elenco sugli obelischi presenti a Roma non ne parla.

E’ in granito rosso ed alto m. 13,91. In età imperiale ornava i famosi Horti Sallustiani che Caio Sallustio Crispo  possedeva  tra il Quirinale ed il Pincio,  arricchiti da Terme, Foro, un obelisco ed un magnifico palazzo. Qui Sallustio scrisse  la Guerra contro Giugurta. Dopo la sua morte furono acquistati dall’imperatore Tiberio, ed in seguito fu il luogo di soggiorno preferito da molti  imperatori.

L’obelisco continuò a giacere rotto in tre pezzi  nel luogo originario divenuto possedimento degli Orsini.

Quando nel 1621 gli Orsini vendettero  il terreno al Cardinale Ludovisi, Carlo Maderno fece una pianta della villa in cui disegnò anche l’obelisco giacente in terra in tre pezzi con la sua base: questo ci permette di vedere dove era collocato.

Nel 1733 Clemente XII chiese alla principessa Ludovisi  la donazione dell’obelisco  che intendeva innalzare in Piazza San Giovanni di fronte alla facciata principale che Alessandro Galilei stava costruendo.

L’obelisco fu ceduto al Papa, ma gli architetti da lui interpellati  lo dissuasero dal progetto di erigerlo in Piazza San Giovanni,  dove avrebbe dovuto sostenere il confronto con il gigantesco colosso Sistino.

Comunque i tre pezzi furono portati sulla piazza ed allineati in terra vicino alla Scala Santa.

Cinquantanni dopo, Pio VI lo fece erigere sempre dall’architetto Antinori, di fronte alla magnifica facciata della Chiesa della SS. Trinità dei Monti in modo che prospettasse La Scalinata (Francesco De Santis 1723-1726), Via dei Condotti e che dal quadrivio  di Via delle Quattro Fontane si potessero vedere gli Obelischi del Quirinale, dell’Esquilino ed il Sallustiano.

    Il 20 aprile 1787   fu inaugurato.

C’è da aggiungere che i Ludovisi regalarono l’obelisco e non la base la quale ha una sua storia personale. Nel 1929 il basamento di granito rosso che ancora giaceva nella villa Ludovisi,  fu  trasformato in ara per ricordare nei secoli i caduti fascisti. Caduto il fascismo  il blocco  fu accantonato, e dimenticato, presso le mura repubblicane nel giardinetto del convento  dei Minori conventuali  d’Aracoeli.

 

      Obelisco  di Piazza Montecitorio

                                                                   1792

 Secondo quanto racconta Plinio, contemporaneamente all’obelisco eretto  nel 10 a.C. nel Circo Massimo per commemorare la conquista dell’Egitto, Augusto ne fece trasportare un altro, più piccolo facendolo erigere  nel Campo Marzio ( dove fu  rinvenuto in pezzi nel 1748) utilizzandolo  come gnomone, cioè come braccio indicatore di un grande orologio solare.

Proviene da Eliopoli dove fu innalzato nel VI secolo a. C. sotto il regno di Psammetico II ( 595-589 a.C.), che vi è raffigurato come una sfinge sdraiata e i cui geroglifici osannano  le glorie del faraone.

Sulla base Augusto fece incidere un’iscrizione di 7 righe ripetute esattamente sulla facciata opposta, che ricordano la conquista dell’Egitto  e contengono una nuova dedica al Sole.

Si dice anche  che nella palla dorata posta sulla guglia furono poste le ceneri dell’imperatore Ottaviano Augusto.

L’obelisco, in granito roso, alto 21 metri, presenta su due facciate iscrizioni che racchiudono una interpretazione dei fenomeni naturali secondo la scienza egiziana.

Secondo quanto scrisse Plinio, Augusto  volle che questo obelisco  captasse  l’ombra solare per indicare la lunghezza dei  giorni e delle notti: il matematico Facondo Novio pose in cima all’obelisco   una sfera dorata che aveva il compito di  “raccogliere l’ombra del sole su di sé, altrimenti la punta dell’obelisco  l’avrebbe largamente diffusa”.

 Quando fu ritrovato nel Settecento, sotto Benedetto XIV, Lambertini, in  cinque pezzi e “abbrugiato” dal fuoco, ragioni che  avevano fatto desistere Sisto V dall’impresa di riportarlo  alla luce, nella cantina di una  casa in Campo Marzio, cominciarono le dispute per  capire se fosse stato una specie di horiuolo o uno gnomone che   permettesse ai Romani di controllare  che d’inverno le ombre erano più lunghe, più brevi quelle dell’estate.

Comunque orologio o gnomone, per gli antichi Romani  quell’obelisco che indicava il tempo sui regoli di bronzo sapientemente posti ai lati di una striscia di pietre adatta alla lunghezza dell’obelisco, rappresentava motivo di orgoglio.

L’impresa di portarlo alla luce fu affidata a Nicola Zagaglia “uomo estremamente rozzo in quanto non aveva tintura alcuna di lettere”, ma “pur privo di qualunque cognizione scientifica, digiuno  dei primi elementi di leggere e scrivere, fu dotato dalla natura  di meraviglioso talento per le opere manuali meccaniche”.

Egli dal maggio all’agosto del 1748 con “facilità meravigliosa” portò alla luce i frammenti dell’obelisco che per il momento furono allineati nel cortile del Palazzo del Lotto.

Quaranta anni dopo fu eretto sulla Piazza di Montecitorio,  nel 1792, da Giovanni Antinori ed il Papa volle che fosse posto sulla cuspide un globo in bronzo a somiglianza di quello postovi da Augusto: quando scocca Mezzogiorno un raggio di sole attraversa il foro inclinato e illumina in terra il Mezzodì.

Obelisco di Antinoo (Aureliano) 

                                       sulla Passeggiata del Pincio

 

 

Secondo quanto ci tramandano gli storici antichi  l’imperatore Adriano fu talmente addolorato per  la morte nelle acque del Nilo del suo amasio, il bellissimo Antinoo, che tra le varie memorie a lui innalzate, volle ornare il suo cenotafio a Roma, con un obelisco, dove furono scolpiti geroglifici con la triste storia del giovane.

Dove fosse questa tomba non si sa con certezza, forse  nel luogo dove l’obelisco fu trovato agli inizi del ‘500 cioè nei pressi della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme.

(parte del basamento, a sin. la “Casina delle Rose”)

Alcuni  però, sostengono che  Adriano  mai avrebbe scelto per l’amatissimo Antinoo un luogo della città deserto e così lontano dal proprio Mausoleo. Quindi si deve pensare che fu portato nel luogo in cui fu scoperto, successivamente, per ornare la spina di un circo  lì esistente.

Di questo obelisco non si ricordò più nessuno fino  al tempo del Bernini che lo collocò  provvisoriamente  di fronte a Palazzo Barberini.

Nel 1713 Donna Cornelia Barberini lo donò al Pontefice Clemente XIV che lo fece trasferire nel Cortile della Pigna in Vaticano dove rimase fino al tempo di  Pio VII quando,  completata la sistemazione del Pincio, l’architetto Giuseppe Marini  lo innalzò nel piazzaletto dove tuttora lo vediamo.

 

Obelisco di Dogali 

 

Nell’area dell’antico tempio di Iside (tra Sant’Ignazio e Santa Maria sopra Minerva) fu trovato nel 1883,  un altro obelisco, l’ultimo fino ad ora,  insieme ad un  piccolo tesoro di sculture egizie (una sfinge, due cinocefali, un piedistallo di un candelabro).

Dopo varie proposte di sistemazione, nel 1887 si decise di innalzarlo sul Monumento  ai 548  soldati caduti della Battaglia di Dogali nella sfortunata Guerra d’Africa.

L’Obelisco alto  circa  6 metri fu eretto da Ramses II ad Eliopoli e portato a Roma in epoca imprecisata, fu innalzato sul monumento  “più malinconico  che ci sia sotto il cielo di Roma” (C. D’Onofrio).

 Tale monumento  fino al 1925 sorgeva dinnanzi alla vecchia Stazione Termini, poi fu spostato  nel vicino giardinetto di Via delle Terme di Diocleziano dove fu arricchito nel 1936, dopo la conquista  dell’Etiopia,  del Leone di Giuda in bronzo, portato da Adis Abeba.

Dopo la caduta del fascismo il leone fu restituito al Negus Ailè Selassiè.

 

 

 

 

 

 

 

 Bibliografia

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